venerdì 16 settembre 2016

 
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IL NOCERA ED I SUOI VINI NEL PASSATO

 


PREMESSA

Dal 1860 sino alla «grande crisi» del 1929 la principale risorsa economica di Milazzo fu la viti-vinicoltura. I produttori milazzesi riversavano annualmente sui mercati nazionali ed esteri, attraverso l’intermediazione d’intraprendenti commissionari locali, migliaia e migliaia di ettolitri di vini da taglio. Ricavato da uve Nocera, l'unico e solo vitigno coltivato nella Piana, e destinato a rinforzare e rinsanguare le deboli e scolorite produzioni dell’Italia settentrionale, della Francia, della Svizzera, della Germania e dell’America meridionale, il Milazzo da taglio meritò il plauso dell’autorevolissimo prof. Ottavio Ottavi, che nel 1888 non esitò a collocarlo, a pari merito con i vini di Barletta, tra i migliori vini da taglio italiani. La fama viti-vinicola della città di Milazzo crebbe ulteriormente agli sgoccioli dell’Ottocento, quando gli sforzi compiuti per arginare l’invasione fillosserica la insignirono - grazie agli studi del geniale imprenditore Giuseppe Zirilli Lucifero (1844-1907) - del titolo ideale di «culla del vivaismo viticolo siciliano». Milazzo diventava così città della vite oltre che del vino. E dal 1898 anche città dell’uva precoce da tavola: proprio allora, infatti, lo stesso Giuseppe Zirilli Lucifero avviava con successo - fu il primo tentativo in Sicilia - la produzione e l’esportazione, prevalentemente verso i mercati tedeschi, di alcune varietà precoci.





 

Grappolo di Nocera fotografato nell'agosto 2016 in c.da Fontanelle a S. Filippo del Mela
(gentile concessione arch. Giusi Marullo - Az. Agricola Fontanelle)
 
 
Il Cerasuòlo di Milazzo

Dalla seconda metà dell’Ottocento sino all’immediato secondo dopoguerra l’enologia della Piana di Milazzo fu caratterizzata dal binomio vini neri e cerasuòli, ossia rossi da taglio e rosati da pasto. In verità anche questi ultimi erano adatti al taglio: l’elevato grado alcolico che li contraddistingueva, addirittura superiore a quello dei vini neri, permetteva infatti di includerli nella categoria dei cosiddetti vini «da mezzo taglio», espressione, questa, che indicava tutti quei vini che possedevano soltanto una delle due caratteristiche essenziali di un buon vino da taglio (alta gradazione alcolica e colore molto accentuato). Ed il Cerasuolo di Milazzo, lungi dal poter conferire colore ai vini scoloriti, a causa del suo tenue colore rosato, poteva soltanto - proprio in virtù della sua notevole forza alcolica - rinforzare la gradazione alcolica dei vini deboli. Tuttavia, nonostante la loro predisposizione al taglio, i vini cerasuoli prodotti nella Piana erano impiegati quasi esclusivamente come vini da pasto e venivano destinati perlopiù al consumo locale.

Grappoli di Nocera nei vasti vigneti Planeta della Baronia di Capo Milazzo
(fonte: profilo Facebook Planeta Winery)

Tanto i rossi da taglio, localmente dunque denominati «vini neri», quanto i rosati o cerasuoli erano ricavati dall’uva Nocera. Sarebbe stato il produttore a decidere, in base agli andamenti del mercato vinicolo, quale vino produrre. Cambiava soltanto il processo di vinificazione: mentre i rossi da taglio venivano prodotti  facendo fermentare il mosto con le bucce degli acini ed i graspi, i cerasuoli venivano invece vinificati in bianco, fermentando dunque in assenza di bucce, ma soprattutto in assenza di graspi, che dai pigiatori («pestatori») venivano accuratamente eliminati («sgrappolati») con le mani proprio durante la tradizionale pigiatura con i piedi. L’eliminazione dei graspi, la cui caratteristica essenziale è quella di trattenere alcool, favoriva di conseguenza quell’innalzamento della gradazione alcolica tipico dei vini cerasuoli, innalzamento prodotto altresì da qualche altro accorgimento messo in atto dai produttori vinicoli milazzesi: «domani piacendo Iddio incomincia la vendemmia», scriveva dall’ex feudo S. Basilio il 18 settembre 1903 al proprio padrone, il barone Alleri, il fattore Luigi Alessio La Spada, il quale aggiungeva questa sgrammaticata precisazione che ribadisce quanto sin qui scritto: «le graspi si levano a tutte le palmentate cerasolo».

A Milazzo, così come nel resto della Sicilia, la suindicata vinificazione in bianco veniva indicata con l’espressione «pestimbotta»: il mosto pigiato, infatti, non appena dal palmento si riversava nella tina sottostante veniva immediatamente imbottato. Alla “pesta” o pigiatura seguiva pertanto senza alcuna perdita di tempo (e soprattutto in assenza di fermentazione con bucce e graspi) l’imbottamento.

 


Le vendemmie con uve Nocera a S. Marina di Milazzo nel 1888
(gentile concessione sig.ra Laura Ryolo)
 
 
Il Milazzo da taglio

Al Cerasuolo si affiancava, nell’ambito dell’enologia della Piana di Milazzo, il rosso da taglio, meglio conosciuto in commercio con le denominazioni «Milazzo da taglio»  o «vino di Milazzo» o «vino nero a schiuma rossa» o ancora, più semplicemente, «Milazzo» o «vino nero». Nel 1923, l’undicesima edizione dell’Enologia teorico-pratica del grande Ottavio Ottavi includeva il Milazzo tra i migliori vini da taglio italiani con questa brevissima ma efficace descrizione: «si ottiene nella Piana di Milazzo. Ha odore vinoso franco, colore molto intenso e vivo, schiuma nettamente rossa; è abbastanza ricco di alcool, ha molto corpo e giusta acidità». Cinque anni dopo, nel 1928, nel volume di Mensio e Forti edito dalla Utet al «nero» di Milazzo venivano dedicate altre parole lusinghiere: «certe plaghe viticole dell’Isola (la Sicilia, ndr) coltivano addirittura una sola varietà, questa unità di vitigno si riscontra specialmente a Milazzo (Messina), ove i vigneti sono formati esclusivamente col Nocera (Nucera), molto apprezzato per l’eccellente vino da taglio che produce, vino il quale alla intensità e brillantezza di colore e alla spuma decisamente rossa unisce un sapore pieno e rotondo».

Durante la vinificazione il mosto, pigiato coi piedi da manodopera maschile, si riversava a poco a poco nella tina sottostante al palmento o vasca di pigiatura, ove appunto l’uva Nocera veniva pigiata. Il mosto veniva dunque nuovamente riversato nel palmento: qui fermentava insieme alle bucce ed ai graspi. La fermentazione durava dalle 12-24 ore alle 72-84, ma poteva protrarsi ancora per qualche giorno: più il mosto fermentava, più il colore si accentuava, ma nel contempo diminuiva notevolmente la qualità del vino ottenuto. Sulla piazza di Milazzo, a seconda del più o meno prolungato tempo di fermentazione, venivano così contrattati vini rossi da taglio cosiddetti chiari o di mezzo colore o di tre quarti di colore o neri, in virtù appunto della minore o maggiore durata di fermentazione.


Grappoli di Nocera fotografati nell'agosto 2016 in c.da Fontanelle a S. Filippo del Mela 
(gentile concessione arch. Giusi Marullo - Az. Agricola Fontanelle)
 
A Milazzo, dalla stessa uva Nocera era dunque possibile ottenere due distinte qualità di vino, una (è il caso del «nero» o «Milazzo») destinata esclusivamente al taglio, l’altra («Cerasuolo di Milazzo») destinabile tanto al taglio quanto al consumo diretto. In quest’ultimo caso il procedimento di vinificazione  adottato era il cosiddetto pestimbotta, durante il quale il mosto, che a Milazzo in tal caso veniva denominato «sbollito», fermentava in assenza di bucce e graspi, al contrario dell’altro, il cosiddetto «mosto bollito», che veniva fatto invece fermentare insieme alle vinacce, graspi inclusi, e da cui si ricavava il rinomato «nero» da taglio, destinato a rinforzare e rinsanguare - tra metà Ottocento e secondo dopoguerra - le deboli e scolorite produzioni dell’Italia settentrionale, della Francia, della Svizzera, della Germania e dell’America meridionale. Nel 1888 il Milazzo da taglio meritò il plauso dell’autorevolissimo prof. Ottavio Ottavi, il quale non esitò a collocarlo, a pari merito coi vini di Barletta, tra i primissimi vini da taglio d’Italia, proprio per questo richiesti con furore dai mercati francesi.
 
 
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La rinascita del Nocera nel territorio comunale di Milazzo si deve all'Azienda Agricola Planeta. Di seguito alcune foto di vendemmia scattate il 15 settembre 2016 alla Baronia dalla Fondazione Barone Lucifero di S. Nicolò, che si ringrazia per la gentile concessione.
 





 
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